MARIO CURNIS SI RACCONTA
Everest a 65 anni era un record che aveva fatto parlare il mondo. Ma forse, più della grande avventura con cui Mario Curnis ha coronato la sua carriera alpinistica nel 2002 insieme a Simone Moro, bisognerebbe far conoscere un’altra impresa che lo scalatore di Nembro, oggi 76enne, ha affrontato con successo. Un’impresa più dura, che lo ha messo alla prova non solo sul piano fisico, ma anche su quello mentale e umano nel senso più ampio del termine.
Problemi di salute e di lavoro che avrebbero messo in ginocchio chiunque, ma che lui, il grande vecchio dell’alpinismo bergamasco, è riuscito a superare come ha sempre fatto: rivolgendo lo sguardo ai suoi monti, non più per scalarli ma per trovare lassù, nel silenzio e nella solitudine dei pascoli sopra Rovetta, l’energia per andare avanti. È proprio qui, tra le cime di casa, che Curnis dallo scorso giovedì sta affrontando assieme ad altri dieci inconsueti compagni di viaggio - dallo chef alla regista dal musicista allo scrittore - l’itinerario organizzato dal mensile «Orobie», in collaborazione con il Club alpino italiano, Italcementi group e Fondazione Credito Bergamasco, attraverso le tappe in quattro rifugi. Cammina Curnis, riflette e quando si ferma ha voglia di raccontare.
Allora Mario, come sta andando il viaggio?
«Molto bene. È una bella avventura, davvero sorprendente. Perché non si tratta solo di un itinerario escursionistico e di un’occasione per riscoprire le Orobie, ma anche di un modo inconsueto di viverle, incon-trando personaggi diversi e singolari. Non solo una gita, ma anche un’esperienza umana».
Tra i compagni c’è anche un ragazzo molto giovane, l’alpinista Paolo Grisa, con cui ha stabilito da subito un buon affiatamento. Cosa pensa delle nuove generazioni di alpinisti?
«Amo stare con i ragazzi: loro ascoltano me, ma io ascolto loro. Non è vero che i giovani sbagliano sempre: se presti loro attenzione c’è tanto da imparare. Ed è questo che mi piace fare quando ne incontro uno in gamba: trasmettere le mie sperienze, ma capire anche che cosa ha in testa lui».
È un Mario Curnis molto diverso quello degli ultimi anni: un tempo forse certe riflessioni non le avrebbe mai fatte.
«È vero: prima ero molto chiuso e schivo. Ho cambiato carattere e questo è dipeso molto da ciò che ho vissuto recentemente».
Ci racconti.
«Grossi problemi di salute e anche di lavoro. Ho dovuto affrontare un tumore. Ero davvero distrutto, non sapevo dove sbattere la testa. Poi mi hanno proposto di occuparmi di cento capre sui pascoli del monte Parè – in alta Valle Seriana, sopra Rovetta – e proprio lì, poco alla volta, grazie a questo isolamento e alla cura degli animali, ho ritrovato l’equilibrio che stavo rischiando di perdere. Sono completamente guarito, e non solo nel fisico».
Come?
«Le occupazioni quotidiane, il lavoro con le capre e questa vita nella natura mi hanno distolto da altri pensieri. Ho recuperato la gioia di vivere nel senso più pieno del termine. Se oggi sono un uomo felice deve ringraziare la montagna e le Orobie in particolare».
A proposito: come le ha trovate in questi giorni?
«Splendide. Quest’anno, visto il lungo inverno e poi le piogge, la stagione è in ritardo, ma questo consente di apprezzarle in una veste verdissima con fioriture incredibili. Un tempo ero troppo concentrato sull’alpinismo per godermi certi aspetti. Adesso che non guardo più solo alle pareti ho scoperto l’altro volto della montagna, un volto più rilassato che sto apprezzando anche in questo viaggio».
È la giornata della sicurezza in montagna, che consigli si sente di dare?
«Personalmente se sono qui a raccontare certe avventure è perché, in molte circostanze, ho avuto il buonsenso di fare dietrofront. E questa credo sia una regola fondamentale. In secondo luogo, non bisogna avere fretta ma andare per gradi, imparando anche ad affrontare i sacrifici. Infine, ai giovani vorrei dire di prestare molta attenzione alla preparazione fisica: in montagna è fondamentale e a volte mi sembra che manchi».
Emanuele Falchetti
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