Articolo

SIMONE MORO: "L'ALPINISMO INVERNALE NON E' MARKETING"

01 Febbraio 2016 / 15:10
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Scritto da Redazione Orobie
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SIMONE MORO: "L'ALPINISMO INVERNALE NON E' MARKETING"

01 Febbraio 2016/ 15:10
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Scritto da Redazione Orobie

Dopo giorni di nevicate, finalmente una parentesi di cielo sereno al Nanga Parbat e i cinque alpinisti rimasti sul versante Diamir hanno colto l'occasione per fare un pò di allenamento e per riaprire la traccia nella neve fino a oltre campo 1. L'obiettivo è fare ancora una rotazione a... prima del tentativo alla vetta.

Intanto Simone Moro ha rotto il silenzio, raccontando le emozioni di questa spedizione e spiegando cosa significa una salita invernale su un simile Ottomila. Ecco cosa ha scritto ieri nella sua pagina Facebook:

"E’ il 31 gennaio, la fine del secondo mese solare dalla nostra partenza dall’Italia. Una bella occasione per scrivere due righe dopo il lungo voluto silenzio che alcuni apprezzano, altri non comprendono, e altri ancora non tollerano. La comunicazione per me è uno strumento e non una droga o una dipendenza.

Il meteo è cambiato, proprio come preannunciato da Karl Gabl e tutti i meteorologi in contatto con gli alpinisti presenti al Nanga Parbat, come pure sostenuto dagli stessi Tomek ed Elizabeth al rientro al campo base dopo il loro tentativo. I due amici alpinisti ci hanno detto che faceva un freddo intenso e che non era proprio possibile muoversi. Dal campo base il cielo sembrava non solo limpido ma privo di vento, ideale, da sogno. Ma come tutte le cose dette e viste da lontano, da mille o più metri sotto o, peggio, con le chiappe al caldo lontano da qua, si pensano e si dicono sempre cose frutto di pure inutili supposizioni. Tomek ed Eli ci hanno parlato di un inverno diverso, più rigido ed io amo credere alle parole degli alpinisti sul campo,

Io qua d’inverno sono venuto già tre volte, più una quarta volta d’estate nel 2003 e questa è la mia quindicesima spedizione nella stagione fredda. Sono l’unico degli alpinisti al Nanga Parbat in questo inverno 2015/2016 ad avere avuto la fortuna e la capacità di salire tre cime di ottomila metri in questa stagione fredda e la mia esperienza mi insegna che la pazienza abbinata all’esercizio fisico mantenuto anche nei giorni di attesa, sono il segreto per trovarsi pronti ed ancora presenti al CB quando il sole ed il poco vento dovessero tornare simultaneamente.

Sono anche il più vecchio qua, l’unico dei 20 alpinisti che c’erano e di quelli che sono rimasti che ha oltre quarant’anni. Mi vien da dire dunque che le invernali sugli 8000 sono ancora sogni per giovani e non solo per vecchie volpi.


L'alpinismo invernale non è marketing, è semplicemente vero, romantico, antico, duro, e spesso anche tecnico perché la via normale estiva si trasforma spesso in una complicata salita nella stagione fredda. Questo alpinismo è conosciuto e praticato da pochissimi, da quelli che non scrivono, sentenziano o non sono a caccia di "like", scoop ed esclusive. Ho arrampicato un po’ ovunque, in Patagonia, sulle Ande in tutti i continenti, sulle pareti di casa, dal 10 grado, al misto estremo, sui cime di 6 e 7000 inviolati, lungo vie nuove, ma come una invernale su un Ottomila non c’è nulla. Qua non si tratta di resistere e basta, ma di volere l’esplorazione e accettare l’avventura più dura e pura. A parte chi resta a casa o corre al CB a scrivere e chattare dopo ogni cambio di vento, chi invece sulla montagna ci va davvero d’inverno, sa che anche andare già al primo o al secondo o terzo campo significa vivere un’esperienza dove non esiste nulla di facile e banale e non sono ammessi errori, nemmeno una dimenticanza.

In questo mese di gennaio io e Tamara siamo andati per la nostra strada, cercando come Tomek ed Elisabeth la nostra via di accesso alla vetta del Nanga Parbat, lungo la via che anche Messner aveva sognato nel 2000 nella stagione estiva. Abbiamo dormito quattro volte a 5500, tre volte a 5800 e siamo saliti fino a 6200, ci siamo mossi sia al sole che nella tormenta. Siamo andati in giornata più volte a Campo 2 e l’ultima volta addirittura andati e tornati nello stesso giorno portando via tutto il nostro materiale di C1 e C2, dentro zaini molto pesanti. Io quella volta sono andato da solo anche verso Campo 3 della Messner prima di rientrare assieme a Tamara e Sirbaz. Un totale di 30,4 kilometri con 2100 metri di dislivello in 10 ore. Tutto misurato dal GPS e realizzato con gambe, fiato e con la stessa motivazione che accomuna molti di quelli che sono stati e sono ancora qua al Nanga Parbat.


Rinunciando alla Messner, e seguendo anche i consigli di Tomek ed Eli che ci mettevano allerta per evidente pericolo di crollo del grande seracco sotto e lungo il quale avremmo dovuto scalare e sono passati anche loro, abbiamo dovuto optare per l’unica alternativa realisticamente fattibile, la Via Kinshofer. Già nel 2003 salii quella via fino a Campo 3 prima di interrompere la salita di acclimatamento e scendere nella notte per prestare soccorso all’amico Oscar Gogorza colpito da mal di montagna a Campo 2 (Oscar è vivo e basta chiedere). Alcuni giorni dopo aprii e salii in stile alpino assieme a JC Lafaille la via che chiamammo Tom e Martina (i nostri figli), che da 5000 metri arriva a 7100 m dove si connette con la Via Kinshofer. Provai poi a continuare verso la cima ma sentivo gli effetti del mancato acclimatamento. Mi fermai e ridiscesi la Via normale, mentre Lafaille unitosi ad altri alpinisti presenti sulla Kinshofer arrivò fino in vetta.

La scelta della Via Kinshofer per questo tentativo invernale è ora il sogno comune dei cinque alpinisti rimasti al campo base. Ognuno alla sua velocità e con la sua esperienza e strategia cercherà di salirla sognando la vetta, ma non sarà ne facile ne scontato. Io e Tamara siamo gli ultimi arrivati sulla via e faremo quello che ancora è possibile fare per completare la percorribilità dell’itinerario e dare il nostro piccolo aiuto. Non siamo abituati a farci aprire la strada da nessuno, ma siccome sulla Kinshofer è ciò che troveremo fatto fino a 6750 m, noi abbiamo detto più volte Grazie a chi quel lavoro l’ha fatto e offerto l’eventuale nostro contributo. Tutti gli alpinisti hanno previsto ancora una rotazione prima del tentativo di vetta e noi pensiamo di fare lo stesso portandoci e dormendo il più in alto possibile prima di ridiscendere per l’ultima volta prima del vero e proprio tentativo.

Il maltempo da un po’ da giorni ha interessato la montagna ed i fortissimi venti non permettono di salire in parete. Questo però non impedisce al alcuni di noi di allenarsi regolarmente e di continuare a mantenere efficienti muscoli e polmoni. Sono già andato due volte quasi a Campo 1 a mantenere aperta la traccia coperta dalle recenti nevicate notturne, sia da solo utilizzando gli sci che con Sirbaz, il mio aiuto cuoco, usando entrambi le racchette da neve. Il pericolo di valanghe è ancora moderatamente alto e per questo aspetteremo le condizioni giuste sia del meteo che della montagna. Tamara sta risolvendo alcuni problemi con una fastidiosa tosse ma sembra in via di guarigione e pronta per muoversi sulla nostra "nuova" via.

Mancano 50 giorni alla fine dell’inverno e non abbiamo problemi di cibo e di tempo. La voglia di andare in cima al Nanga non manca: è la stessa che avevo 11 anni fa prima di scalare il mio primo Ottomila d’inverno. L’esperienza è però diversa, maggiore, il fisico risponde ancora allo stesso modo e viaggia alla stessa velocità. La fiducia nel mio compagno di cordata totale. Tamara è molto brava ad ascoltare e lasciarsi consigliare e dannatamente forte fisicamente da non volere nessuno sconto né sul peso dello zaino né sulla velocità di salita. In 25 anni di spedizioni alpinistiche pochi uomini, poco più di un paio, mi hanno dimostrato di avere un motore analogo al suo. Dunque l’ultimo mio dubbio è sulla sua capacità muscolare o tecnica per salire il Nanga. Ma una prima invernale sopra gli 8000 non solo non è roba da vecchi, ma è roba per pochi, che spero diventeranno tanti anche quando l'ultimo degli 8000 verrà salito d’inverno. Si aprirà allora il mondo dei 6 e 7000 nella stagione fredda e qualcuno deciderà di salire tutti i 14×8000 d’inverno.

Fallire non piace a nessuno ed in inverno è quasi scontato che lo si debba fare ad eccezione di pochissimi, rari casi. Il Nanga Parbat per il momento ha fatto fallire tutti, giovani e vecchi, forti e deboli.Bisogna avere tanta fortuna con la salute, il meteo, la forma fisica, le condizioni della via e della montagna. Per 3 volte nella mia carriera questi elementi si sono messi d’accordo ed in fila e mi hanno lasciato passare. Sarebbe fantastico che l’allineamento di questi fattori avvenisse anche quest’anno."