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Il ricordo di Mario è una giornata di pioggia e nebbia

17 Gennaio 2024 / 15:09
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Scritto da Redazione Orobie
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Il ricordo di Mario è una giornata di pioggia e nebbia

17 Gennaio 2024/ 15:09
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Scritto da Redazione Orobie

Una di quelle in cui forse, ti dici, sarebbe meglio stare a casa. Invece, sul Canto Alto, dove ci eravamo incamminati con alcuni lettori di Orobie, c’era il sole. E l’aveva portato lui. 

Anche se le nubi non si erano dissolte e la pioggia continuava a cadere sottile sottile. Erano bastate poche parole a illuminare la giornata. Il «pronti!» con cui aveva dato il via alla passeggiata e il racconto che aveva centellinato passo dopo passo, sosta dopo sosta. Capitava sempre così con Mario Merelli. Arrivava con quell’aria di chi non è nato per stare di fronte a una platea, a salire su un palcoscenico e, invece, appena dava il «la» alla sua narrazione calava il silenzio. Tutti lì ad ascoltare parole semplici, ma di una profondità infinita. E viene quasi naturale, adesso che non c’è più, adesso che sono trascorsi ormai dodici anni dall’incidente che se l’è portato via sul pizzo Scais, pensare a come anche il modo di comunicare, nel mondo dell’alpinismo e non solo, sia cambiato. Tutto più veloce, maledettamente più veloce. 

Mario, invece, aveva fatto della lentezza e della riflessione la sua cifra. Così andava in montagna, come gli aveva insegnato suo padre Patrizio, e così raccontava le sue esperienze e le sue tante spedizioni sugli ottomila, ma anche sulle montagne di casa. «Guardavo mio papà – scriveva Mario proprio su Orobie – e vedevo in lui la guida alpina cui fare sempre riferimento. I suoi insegnamenti non erano solo tecnici – i nodi, le sicurezze, gli imbraghi, gli itinerari -, ma riguardavano anche lo stile, il modo di approcciare qualsiasi escursione. Uno stile che non perdeva mai di vista il piacere. Salire una montagna piccola o grande che fosse doveva esserlo sempre. Al di là del tempo impiegato, della parte scelta e di qualsiasi altro aspetto, per così dire, agonistico. Questo è lo stile che ho imparato allora e che ho cercato di conservare gelosamente». 

In fondo, e ci piace sottolinearlo, è lo stile che ha sempre caratterizzato anche la nostra rivista. Non è un caso, dunque, che Mario fosse un grande amico di Orobie. Capitava spesso in redazione, si parlava di montagna, delle sue spedizioni, ma anche e soprattutto della gente che incontrava e dei progetti cui aveva dato vita per sostenerla. Solidarietà e alpinismo erano per lui due facce della stessa medaglia di cui il Kalika hospital, in Nepal, nella valle del Dolpo era solo l’aspetto più tangibile. 

Forse, ancora più dei dieci ottomila conquistati, è questa l’eredità di Mario. O almeno lo è per noi. Mentre scriviamo piove. C’è pure un po’ di foschia. Una bruttissima giornata. L’ideale per una bella camminata.    

Emanuele Falchetti


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